Il CNR "riordinato" e l'integrazione europea
Lucio Bianco
Presidente CNR

Prima di entrare nello specifico dell'intervento che mi è stato assegnato, consentitemi di ricordare il professor Amaducci. Personalmente l'ho conosciuto negli anni '72-'73, in occasione di una delle tante elezioni dei Comitati di consulenza del CNR, quanto entrambi, io giovane ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche e lui assistente universitario, entrammo nel Comitato di Ingegneria e nel Comitato di Medicina a rappresentare i rispettivi settori disciplinari e poi abbiamo avuto occasione, durante quegli anni, dal '73 al '77, di vederci spesso in occasione delle assemblee generali dei Comitati e di dibattere fin da allora i problemi di riorganizzazione della ricerca. Si parlava già a quel tempo dell'esigenza di riformare il CNR, di cui oggi parleremo. Per un lungo periodo di tempo poi non ci siamo più incontrati e l'ho rivisto solo in occasione della mia nomina a Presidente del CNR, quando lui venne da me e mi parlò appunto del progetto finalizzato "Invecchiamento" e della sua preoccupazione per l'interruzione di alcune linee di ricerca e in particolare della ricerca di cui qui si è parlato, cioè dell'ILSA.

Naturalmente, per quello che era nelle mie possibilità, ho cercato di tranquillizzarlo, dicendogli che capivo benissimo qual'era la rilevanza della sua ricerca e che mi sarei fatto parte diligente per cercare di riattivare il progetto o, per lo meno, di fare in modo di trovare le risorse per alcune ricerche di particolare rilevanza che sarebbero state fortemente penalizzate dall'interruzione. Non sapevo che già era malato; me lo disse in un incontro riservato il professor Donato e comunque tra di noi non abbiamo mai parlato di questo, perché lui ogni volta che lo incontravo (ed è capitato più volte durante l'ultimo anno prima della sua morte) mi ha sempre prospettato esigenze o anche fatti operativi legati alla direzione del progetto stesso; devo dire che, se volessi sintetizzare con una parola l'impressione e l'opinione che mi sono fatto del professor Amaducci durante questa mia conoscenza, quello che mi ha colpito di lui è essenzialmente la semplicità. Lui era sicuramente uno scienziato, un ricercatore vero, com'è stato qui detto, ma era una persona semplice, che poneva con molta semplicità i problemi, senza arroganza; questo è il ricordo che personalmente mi è rimasto di lui. E quindi vorrei rivolgere anch'io alla famiglia qui presente un affettuoso saluto.

Venendo al tema dell'intervento, che tratta del CNR riordinato e dell'integrazione europea, vorrei cominciare col dire perché il riordino del CNR. L'ho già accennato; se ne parlava più di venticinque anni fa, sia pure in un altro contesto, con un'altra ottica; ma già allora si sentiva l'esigenza almeno di modificare alcune cose.

Il CNR è un organismo che ha 75 anni, è stato fondato nel 1923, com'è noto. Ha subito nel corso di questa sua vita delle riforme e l'ultima riforma ormai ammonta a più di trent'anni fa, intorno alla metà degli anni Sessanta, perché poi ci sono stati dei semplici ritocchi. E quindi porsi il problema del riordino è un'esigenza quasi fisiologica in un organismo di questo genere. Naturalmente ci sono delle specificità nel contesto in cui questo riordino si colloca, specificità anche di tipo legislativo, perché, come voi sapete, si sta facendo questa riforma nell'ambito di una legge-delega del Parlamento al governo, che riguarda l'ammodernamento della pubblica amministrazione e nel quadro dell'ammodernamento della pubblica amministrazione c'è questa specifica attenzione al settore della ricerca pubblica e quindi al CNR. Questo è già un quadro di riferimento molto preciso, che ne dà una chiave di lettura.

Quali sono i contenuti del riordino, così come si sono finora configurati?
Voi sapete che il decreto specifico del CNR non è ancora operativo, perché non è definitivo, in quanto all'attenzione della Commissione Bicamerale parlamentare specifica che deve esaminare questi decreti delegati, ma una bozza, un decreto approvato in prima lettura c'è e quindi alcune considerazioni possiamo farle, anche perché un decreto di carattere generale, quello che viene chiamato il decreto sul cervello del sistema o sul sistema generale è stato approvato, è operativo ed è legge dello Stato.

Allora quali sono i contenuti di questo riordino? Diciamo che i contenuti del riordino, hanno le premesse in questo decreto generale, che vorrei un attimo richiamare, perché anche se probabilmente tutti quanti conoscete, puo' essere utile richiamarne gli aspetti fondamentali. Il decreto generale del sistema cerca sostanzialmente di dare strumenti al governo nella definizione di una politica della ricerca e, in questo quadro, di rafforzare la posizione del Ministro dell'Università e della Ricerca nel compito, non dico di coordinamento politico, ma comunque nel compito di raccordo tra le varie competenze in materia di ricerca che, come sappiamo, sono gestite solo per il 50%, dal Ministro della Ricerca mentre l'altro 50% è suddiviso tra altri Ministeri, il Ministero della Sanità, il Ministero dell'Industria, dell'Agricoltura e quanti altri. Quindi c'è sicuramente un problema di coordinamento politico che nel decreto approvato si cerca di risolvere attraverso un concerto tra i Ministri, dando un potere istruttorio ed anche di raccordo al Ministro della Ricerca e demandando al CIPE, in seduta speciale, la decisione dell'allocazione delle risorse tra i vari settori; il CIPE cioè definisce o dovrebbe definire le linee generali di una politica per la ricerca del governo nel nostro Paese. Se questo si riuscirà a fare, sarà un fatto positivo, e forse dal prossimo anno possiamo aspettarci che un qualche organo del Governo ci dica quali sono le scelte politiche, ossia le scelte strategiche che il governo farà in materia di ricerca.

È stato individuato anche nel Programma Nazionale della Ricerca, triennale, uno strumento nel cui quadro dovrebbero essere collocati i vari interventi di ricerca. C'è poi un fondo integrativo, che dovrebbe essere integrativo rispetto ai normali finanziamenti e alle attività istituzionali dei vari enti pubblici di ricerca, per attuare le scelte politiche e strategiche che il governo farà in materia di ricerca.
Quindi l'aspetto che ne emerge è un rafforzamento della struttura governativa anche attraverso la creazione di una tecnostruttura di supporto, un advisor board, con la relativa segreteria tecnica, che dovrebbe fornire gli elementi conoscitivi per le scelte politiche.

Ma qual'è il ruolo della comunità scientifica in questo decreto? Il ruolo della comunità scientifica è affidato ai Consigli Scientifici Nazionali, che sono organi espressione della comunità scientifica nei suoi vari aspetti, i quali pero' restano in una sorta di limbo, perché non è definito quanti sono, quali sono, come sono eletti e anche, se vogliamo, quali siano i compiti, perché sono definiti in modo del tutto generale; devo dire che questo è uno degli aspetti critici del decreto, perché non si capisce bene come la comunità scientifica possa e debba intervenire a valle delle scelte politiche che necessariamente sono di competenza del governo; infatti definire quali debbano essere i contenuti di ricerca che quelle scelte devono attuare, è un compito specifico della comunità scientifica.

Direi che questa è una cosa non chiarita, così come a me appare molto dubbio o perlomeno critico l'approccio per il quale, una volta fatte le scelte, sia in qualche modo il Ministero stesso dell'Università e della Ricerca o comunque il governo che gestisce la fase successiva. Io credo che, una volta fatte le scelte, la gestione debba essere demandata a un organismo autonomo, indipendente, che prescinde dalle vicende governative, una sorta di agenzia, sul tipo della National Science Foundation americana, che naturalmente poi fa le sue scelte, alloca le risorse sulla base delle scelte politiche, ma poi finanzia i progetti con le regole definite dalla comunità scientifica, che sono proprie cioè della comunità scientifica internazionale. Di questo, nel decreto generale non c'è traccia e questa è una delle osservazioni che ho fatto a questo decreto e che ripeto qui. Ma naturalmente i decreti si possono sempre modificare, perché sappiamo anche che a valle dell'esperienza di un anno di applicazione, è possibile rivedere la normativa approvata.

Venendo al decreto del CNR, che in questi punti che ho citato ha le premesse e da cui discendono quindi poi alcune conseguenze, vediamo quali sono gli aspetti fondamentali.

Viene ribadita l'unitarietà dell'ente e il suo carattere di ente generalista e quindi multidisciplinare, cioè il CNR continuerà ad occuparsi di tutte le discipline scientifiche, da quelle umanistiche a quelle della scienza e della vita, delle scienze naturali, ecc. Viene sostanzialmente ribadita, sia pure con un'enfasi diversa, la missione del CNR ripartita tra attività di ricerca intramurale svolta attraverso la propria rete scientifica, su cui si mette un'enfasi particolare nella fase di riorganizzazione della rete stessa e per il ruolo fondamentale che essa ha, e l'attività extramurale attraverso grandi progetti nazionali, quali sono stati i progetti finalizzati e l'attività di seeding e scouting, ossia l'attività di finanziamento di singoli progetti, con una logica pero' diversa da quella che finora è stata seguita nei comitati disciplinari del CNR.

Sono cancellati, come è noto, i Comitati disciplinari del CNR, perché l'unica espressione e rappresentanza della comunità scientifica è collocata in questi Consigli Scientifici Nazionali, di cui ho detto e, per quanto riguarda la funzionalità dell'ente stesso, viene definito un Consiglio Direttivo molto ristretto, formato dal Presidente e da sei altri esperti; il Consiglio Direttivo è un organo di alta amministrazione, di carattere strategico, che naturalmente non vuole essere rappresentativo di tutte le competenze scientifiche, ma soltanto delle sensibilità che bisogna avere in un organismo di questo genere; viene poi lasciata all'autonomia regolamentare, in base alla legge 168, la possibilità del CNR di organizzare la struttura di supporto necessaria per l'operatività del Consiglio Direttivo. Naturalmente c'è un'autonomia regolamentare anche relativamente a tutti gli altri aspetti (regolamenti per il personale, regolamenti per la progressione delle carriere, regolamenti per il reclutamento, ecc.). E questo è sicuramente un aspetto positivo, perché entriamo in una logica per cui uno puo' adeguare questi strumenti molto velocemente, senza essere costretto a modificare una legge, il che naturalmente è sempre cosa piuttosto complessa nel nostro Paese.

Un altro elemento molto importante è che si mette molto l'accento nel decreto sul rapporto e sul raccordo con l'Università. Questo sia in termini di collaborazione attraverso gli organi di ricerca, sia in termini di mobilità dei ricercatori, che non è ancora la sostanziale omogeneizzazione della comunità scientifica (universitaria e del CNR), ma è un passo avanti in questa direzione, nel senso che sono previsti dei meccanismi specifici di mobilità e di possibilità, da parte dei ricercatori del CNR e da parte dei professori universitari, di lavorare congiuntamente nelle rispettive strutture, con riconoscimento pieno. Naturalmente resta ferma l'autonomia degli Atenei riguardo a questa possibilità offerta da questo decreto.

Va tutto bene? È tutto buono questo decreto? Ci sono carenze? Beh, direi che ci sono sicuramente degli aspetti innovativi positivi e ci sono poi delle carenze, che personalmente ho segnalato e che spero possano trovare accoglienza nella fase di esame della Commissione parlamentare che comincerà - spero - a discuterne questa settimana. Il ritardo ovviamente è dovuto alla crisi di governo che c'è stata.

Ci sono sicuramente degli aspetti critici, nel senso che, nel mentre ci sono tutta questa serie di principi generali che sono condivisibili, poi si mettono nel decreto, qua e là, dei paletti che vincolano eccessivamente e quindi c'è la contraddizione, di un decreto di indirizzo in cui pero' si fissano dei dettagli eccessivamente specifici, cosa che è stata rilevata dallo stesso relatore nella Commissione Bicamerale. Non entro ovviamente qui nel merito di tutte queste cose, ma sostanzialmente, nel mentre si invoca l'autonomia regolamentare sulla base della legge 168, poi si pone allo stesso una limitazione, una deroga in fase di emanazione, dei primi regolamenti del CNR, né si capisce molto bene perché c'è questa deroga o ci dovrebbe essere questa deroga nella fase iniziale. Non è molto motivata.

C'è una insufficiente indicazione di come puo' essere soddisfatta l'esigenza di consulenza scientifica che un ente ad ampio spettro, come il CNR continua ad essere, deve avere per poter fare sì che le scelte dell'organo direttivo siano quelle che rispondono a una logica di una comunità scientifica. Nel decreto ci sono varie indicazioni per la costituzione di una sorta di Comitato Scientifico, ma è ovvio che un Comitato Scientifico, così come è configurato, non soddisfa, non puo' soddisfare le esigenze che finora sono state bene o male soddisfatte dai Comitati Nazionali di consulenza, se non altro per il problema della numerosità dei membri del Comitato stesso. Personalmente ritengo che un ente di ricerca che si occupa di tutto lo scibile non possa non avere un raccordo istituzionale con la sede in cui la comunità scientifica esprime tutte queste competenze, che dovrebbero essere questi Consigli Scientifici Nazionali.

Questo raccordo andrebbe esplicitato, fermo restando che non ci deve essere commistione tra attività di consulenza e attività di gestione, che è l'accusa principale fatta negli ultimi anni ai Comitati Nazionali di consulenza.
Ma io credo che questo raccordo si puo' fare senza questo rischio, anche perché viene sciolto il nodo che attualmente c'è nel CNR, in cui l'organo decisionale è fatto dai Presidenti dei Comitati Nazionali di Consulenza, cioè i Presidenti delle strutture di consulenza. Nel momento in cui questa circostanza viene meno credo che si possa garantire un raccordo corretto per soddisfare le esigenze di consulenza scientifica che un ente come il CNR ha.

Un'altra carenza è una insufficiente attenzione al problema del personale, del reclutamento, delle carriere, del sangue nuovo necessario in una struttura di ricerca in cui l'età media è molto elevata (ma questo è un problema generale anche di altri councils europei). Questa attenzione non c'è e personalmente ho proposto un emendamento, perché si possa arrivare a una gestione delle risorse umane e quindi delle risorse finanziarie ad esse collegate, in analogia a quanto avviene attualmente per l'Università, senza vincoli di pianta organica, ma soltanto con vincoli di budget. Questo naturalmente libererebbe una serie di possibilità e di risorse che attualmente ci sono nel CNR e che sono congelate da una pianta organica rigida e alla quale non si puo' derogare, se non dietro approvazione di vari Ministeri, Funzione Pubblica, Tesoro, Ministero della Ricerca con le ovvie difficoltà che tutti conoscete.

Questi sono i contenuti del riordino. Venendo adesso al secondo aspetto della mia relazione, che è il CNR riordinato e l'integrazione europea ed augurandomi che il decreto stesso possa uscire nella versione definitiva con significativi miglioramenti, che sono stati qui accennati, voglio dire che una delle conseguenze che si hanno per la ricerca deriva proprio dalla moneta unica europea, dall'Euro, in cui siamo entrati e che dal prossimo anno comincerà ad essere operativa. La moneta unica pone sicuramente i vari Paesi di fronte ad uno scenario nuovo, nel senso che, per esempio, nel nostro Paese, non possiamo più sfruttare come fattore di competitività la svalutazione della moneta, che era una delle carte che giocavamo per mantenere la competitività del nostro sistema produttivo. È abbastanza evidente che sempre di più la competitività sarà affidata alla capacità di innovazione, innovazione tecnologica, ma dire anche innovazione organizzativa. Ormai è sempre più intrecciato questo aspetto dell'innovazione tecnologica e dell'innovazione organizzativa del sistema e non sono più scindibili l'uno dall'altro.

È chiaro che una forte capacità di innovazione è affidata alla possibilità di avere alle spalle un forte sistema di ricerca e sviluppo e naturalmente questa è una considerazione che non puo' non essere fatta dal nostro governo, nel momento in cui abbiamo aderito all'Unione Europea. Quindi io mi auguro che quella frase che c'è nel documento di programmazione economica, soltanto come una manifestazione di intenzioni, cioè quella di adeguare la percentuale del nostro PIL investirla in ricerca al livello degli altri paesi europei, trovi poi un riscontro preciso e puntuale nelle finanziarie che nei prossimi anni seguiranno. Questo è il primo legame tra il nostro sistema di ricerca e l'integrazione europea che coinvolge naturalmente anche il Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Un altro elemento di integrazione indubbiamente è l'attività di ricerca del programma-quadro europeo. La mia domanda è: basta il programma-quadro europeo per rispondere alle esigenze di integrazione anche nel campo della ricerca, in termini di contenuti e di organizzazione dello stesso? La mia risposta è "no", nel senso che non è sufficiente e questo sia per le modalità con cui il programma nasce e viene gestito, sia per i contenuti.

Mi pare che ci sia (almeno c'è stato finora) un chiaro approccio utilitaristico ai progetti di ricerca ed uno scarso rilievo alla ricerca di base. Questa almeno è l'osservazione che, come Eurohorc's, che è l'organizzazione che raccoglie i Presidenti dei principali councils europei, abbiamo fatto nei nostri incontri, mentre, viceversa, c'è l'esigenza di andare, anche a livello della ricerca di base, verso una maggiore integrazione tra le varie organizzazioni europee. Questo perché è l'unico modo per competere con le altre grandi aree del mondo, gli Stati Uniti e il Giappone, dove viceversa, proprio nel campo della ricerca di base, c'è stato negli ultimi tempi un aumento forte degli investimenti; è su questo terreno che si gioca la competizione per il futuro.

E allora questa esigenza ha portato anche Eurohorc's a discutere sul nuovo ruolo che puo' avere l'European Science Foundation; c'è una discussione molto puntuale e molto approfondita su questo aspetto. C'è un'esigenza di omogeneità dei criteri di valutazione che vengono seguiti nei nostri Consigli delle Ricerche. C'è un'esigenza di avere una comparabilità delle strutture in termini di risorse umane e finanziarie, per evitare la subalternità dell'uno all'altro. E qui nasce il problema della debolezza strutturale, del nostro sistema di ricerca, che è in una condizione di inferiorità quanto a risorse umane e finanziarie. E allora, da questo punto di vista, l'esigenza che c'è è quella di fare una sorta di Maastricht della ricerca, cioè un piano di convergenza che in un certo numero di anni porti i sistemi ad essere sostanzialmente omogenei e comparabili e quindi più facilmente integrabili, senza rischi di subalternità dell'uno rispetto all'altro e senza sospetti reciproci.

Questa è una esigenza che naturalmente va posta ai vari governi, ma in particolare a quello del nostro Paese, perché noi partiamo da una condizione, come sappiamo, è la metà, se non 1/3 rispetto a quella dei Paesi con cui competiamo e collaboriamo nello stesso tempo.

Mi avvio alla conclusione. Qual'è la strategia del CNR rispetto a questo problema dell'integrazione europea? Nel decreto ci sono un po' di accenni, peraltro forse insufficienti e quindi personalmente ho chiesto anche che sia esplicitato e ribadito molto di più il ruolo che il CNR ha avuto in termini di collaborazione internazionale e di gestione di accordi di collaborazione internazionale. C'è comunque nel decreto spesso un cenno al quadro di riferimento internazionale, in particolare europeo. Credo che questo cenno debba trovare un riscontro puntuale nella possibilità di cominciare a sperimentare la nascita, per esempio, di centri di ricerca comune tra i councils europei, per esempio, CNR-Max Plank; rilanciare il ruolo dell'European Science Foundation come sede in cui questo tipo di integrazione possa avvenire, in modo da fare dell'European Science Foundation non solo un centro di dibattito e di accademia, ma anche un centro in cui si perseguono, se volete, obiettivi di politica di ricerca europei.

Ma credo che il modo migliore perché il CNR risponda a queste esigenze di integrazione europea è che l'ente rilanci se stesso attraverso una rete di ricerca sicuramente più rispondente alle esigenze di competizione internazionale, riaggregando gli organi di ricerca in un numero più limitato, aventi massa critica ragionevole, superando il limite della frammentazione che c'è adesso. Un rilancio su questo piano interno e un ribadimento del ruolo internazionale del CNR credo che sia il modo migliore perché il CNR si raccordi con le esigenze dell'integrazione europea in materia di ricerca.

Chiudo con l'auspicio che il dibattito che ci sarà nella Commissione Bicamerale possa portare ad una serie di emendamenti, che rafforzino il ruolo del CNR proprio in questa dimensione di carattere europeo e internazionale, che qui oggi dibattiamo.
Grazie.



Edited by Riccardo Pratesi. Created: 16/11/1998 - Last Update 16/11/1998