Intervento
Piero Dolara
Cercherò d'essere rapido, perché l'ora è tarda
e ormai sono più numerosi i relatori dei partecipanti al convegno.
La mancanza di fondi è indubbiamente la maggiore preoccupazione
quotidiana per chi fa ricerca. Io ho cominciato ad esercitare il mestiere
di ricercatore trentatré anni fa, insieme con Luigi Amaducci, che
collaborava a quei tempi con l'Istituto di Farmacologia e quindi ho avuto
il piacere di fare i miei primi passi scientifici nello stesso laboratorio.
Per quanto mi riguarda, sono riuscito per trentatré anni a rimanere
a galla nel mondo della ricerca internazionale, ma le difficoltà
stanno diventando ogni giorno più serie. Quando ci lamentiamo della
carenza di fondi italiani c'è sempre detto che la soluzione del
problema è afferire a fondi europei; ed, infatti, per il nostro
Dipartimento l'Unione Europea è diventata la principale risorsa.
Quello che sta succedendo in Italia è pero' assai preoccupante,
perché i finanziamenti locali per la ricerca stanno diventando irrilevanti.
Nel nostro bilancio di Dipartimento la voce "fondi CNR" è
quasi scomparsa. Da diversi anni non faccio neanche più domande
di ricerca al CNR. Il professor Donelli mi diceva recentemente che i fondi
dell'intero Comitato Biologia e Medicina sono sette miliardi quest'anno,
una somma equivalente a due domande di ricerca europee. Mi chiedo, quindi,
in queste condizioni, a che cosa serva perdere tempo a discutere sulle
modalità d'attribuzione di questi fondi.
I ricercatori nel nostro paese sono in una situazione d'emergenza e non
in atarassia, come dice il professor Ruberti; siamo tutti estremamente
preoccupati ed è per questo che non protestiamo per l'allontanamento
di Luigi Berlinguer dal Ministero dell'Università e della Ricerca
Scientifica. Abbiamo accolto quest'evento con estremo sconcerto e non ci
siamo lamentati pubblicamente per manifesta depressione comportamentale,
non per atarassia come dice Ruberti. Non mi sembra il caso di sottovalutare
l'importanza politica degli scarsi finanziamenti per la ricerca, perché
le finanziarie di tutti i recenti governi, compresi quelli di sinistra,
regolarmente si dimenticano di questo problema. Su un punto ulteriore mi
volevo pero' soffermare, relativo alle modalità di distribuzione.
I fondi di ricerca italiani non solo sono solo pochi, ma sono anche distribuiti
male. Questo è detto costantemente negli ambienti di ricerca, però
non si fa mai nulla per cambiare la situazione.
Il collega Manetti ci ricordava adesso il criterio fondamentale con cui
sono distribuiti i soldi in Italia: "L'amicizia". E non ha sentito
neanche il bisogno di chiedere scusa. Bisogna finirla! Se la ricerca italiana
deve essere a livello della ricerca europea, bisogna smettere con questa
storia dei soldi che vanno agli amici! Altrimenti anche con le migliori
intenzioni dei governi (ancora da vedersi) i finanziamenti finiranno per
entrare in canali e rivoli che non sono quelli della ricerca, ma altri
che tutti abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene. Vi voglio raccontare
un vergognoso caso, quello della legge 46, relativamente ben finanziata
e riguardante programmi di collaborazione tra enti di ricerca, Università
ed industria. Recentemente, per la ricerca applicata nel settore oncologico,
un mese prima della chiusura dei bandi, abbiamo ricevuto un fax dalla Tecnofarmaci,
che è una dei privati interessati al programma, in cui si comunicava
che non era neanche il caso di presentare nuove domande, perché
i fondi erano già stati attribuiti. Una cosa del genere, a livello
europeo, basterebbe per fare scandalo e ammazzare un programma di ricerca.
Da noi questo tipo di comportamenti sono talmente diffusi che la gente
nemmeno ne prende nota. Queste cose sono preoccupanti e bisognerebbe che
fossero un elemento centrale di discussione. Finché i finanziamenti
per la ricerca saranno distribuiti con criteri clientelari, le difficoltà
dei ricercatori italiani non potranno essere risolte.
Piero Dolara è Ordinario di Farmacologia e Tossicologia,
Università di Firenze .